Storia del Disastro del Gleno – 5^ Parte – Maggio
A cura di SERGIO PIFFARI
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Il Capitolato d’Appalto, firmato dai titolari della “Bonaldi e C.” prevede che gli stessi dirigano personalmente i lavori, assumano un numero sufficiente di operai i quali devono essere assicurati contro gli infortuni. All’art. 27 si ricorda che: “Tutte le murature di qualunque natura esse siano, dovranno essere eseguite a piena regola d’arte. I materiali saranno di qualità scelta, completamente nuovi o scevri da so- stanze estranee… Per la muratura in genere, la malta dovrà confezionarsi con calce idraulica, sia macinata che in zolle, quest’ultima di produzione locale. Per i manufatti più importanti (diga di sbarramento) la stazione appaltante si riserva la facoltà di ordinare all’atto pratico l’impiego di cemento Portland unito alla calce in zolle o macinata, per la confezione della malta… Prima di iniziare le gettate o murature, l’appaltatore provvederà ad accurata lavatura della roccia messa a nudo e tagliata mediante getto d’acqua a forte pressione (almeno da 2 a 3 atmosfere). I sassi prima del loro impiego saranno pure nettati con detto getto d’acqua”. Stando alle dichiarazioni degli operai occupati, che avremo modo di leggere in seguito, non pare proprio che le norme del suddetto capitolato siano state rispettate. Tutt’altro!
Primavera 1920. Il forno di Valbona inizia la produzione di calce.
Il 19 maggio 1920 con Raccomandata inviata da Vilminore allo “Spett.le Corpo Reale del Genio Civile di Bergamo” la ditta Viganò informa che, a 15 giorni dalla stessa data avranno inizio i lavori di costruzione della diga in muratura da parte dell’impresa “Bonaldi – Paccani – Marinoni”. Come sopra ipotizzato, per la realizzazione del “tampone” con la calce vengono impiegati anche 9241 q.li di cemento (dato riportato nei libri contabili della “Viganò”, relativi alle fatture pagate dalla ditta ai cementifici fornitori) mentre, dall’inizio dei lavori a tutto il 10 ottobre 1920, il totale è di 12.029 q.li. Il cemento utilizzato per la costruzione della diga viene analizzato dal “Laboratorio del Regio Istituto Tecnico Superiore di Milano” per 24 volte a partire dal 25 ottobre 1919 fino al 16 novembre 1923 (L’elenco completo è allegato agli Atti del Processo presso il Tribunale di Bergamo). Anche la sabbia, la malta ed il calce- struzzo in cubetti vengono analizzati dal suddetto Istituto a partire dal 16 ottobre 1919 ottenendo certificati di prova positivi. Non risultano analisi effettuate sul calcestruzzo usato durante i lavori.
27 luglio 1920. La ditta Viganò chiede alcune modifiche alla concessione originaria per una più ampia utilizzazione del bacino. Proseguono intanto i lavori per la costruzione delle centrali di Povo e Valbona, delle relative condotte forzate e della grande vasca di Vilminore, in località Santa Maria.
25 agosto 1920. Muore a Bergamo l’ing. Gmür.
* Nella sua lunga ed onorata carriera l’ingegner Gmür aveva, nei primi anni del ‘900, messo a punto un progetto per la realizzazione di una “Elettrovia Scalvina”. Il progetto, promosso da un Comitato presieduto dal bresciano on. Bonardi e rappresentato dall’avv. Marino Maj di Schilpario quale portavoce, prevedeva una linea che collegava Darfo e la Val di Scalve con capolinea a S. Andrea. Il tratto, lungo m. 18.260 con un dislivello di m. 615, era necessario perché la sede stradale era stretta, tortuosa, e creava notevoli difficoltà ai mezzi a trazione meccanica; inoltre vi era ”la possibilità di un sussidio governativo di almeno Lire 5.000 al chilometro”, ricordò l’avv. Maj in una riunione a Vilminore . Come sappiamo, però, non se ne fece nulla.*
Settembre 1920. Viene assunto definitivamente l’ing. Giovan Battista Santangelo, palermitano, già collaboratore della ditta Viganò dopo il ritiro degli ingg. Consigli e Gmür. Virgilio Viganò, anche a causa dei notevoli costi sostenuti, decide di produrre energia elettrica non solo per i suoi stabilimenti, ma anche di venderla a terzi; fa quindi preparare ai suoi tecnici un progetto per lo sfruttamento delle acque di tutti i torrenti scalvini. Anche per lo sbarramento al Gleno ci sono novità. L’ing. Santangelo mette a punto un progetto di diga ad archi multipli da impostare sopra al “tampone” a gravità. Al processo di Bergamo i difensori del Viganò sostengono che tale cambio di progetto si rende necessario per l’ampiezza della vallata e per ottemperare alle direttive delle Autorità preposte, che sarebbero entrate in vigore a breve in materia di dighe.
* Le dighe ad archi multipli sono costituite da piloni collegati tra loro da volte, o archi, in cemento armato che scaricano su di essi la pressione dell’acqua. Generalmente non superano in altezza i 30 metri e, per la loro sicurezza, devono appoggiare su rocce compatte. Tra i vantaggi vi è certamente un notevole risparmio sui materiali impiegati, che comporta anche un minore peso gravante sulla fondazione, ed un minore effetto delle sottopressioni.*
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Attività a cura della Commissione Centenario del Gleno