Storia del Disastro del Gleno – 12^ Parte – Dicembre

A cura di SERGIO PIFFARI

Lo squarcio

< Seguito

IL TRAGICO CROLLO.

Sabato 1° dicembre 1923. Il cielo è grigio e cade del nevischio. Alle ore 7,15, circa, si ode un boato… la parte della diga posizionata sopra al “tampone” è crollata! I 6 milioni di metri cubi d’acqua contenuti nel bacino, attraverso una falla di circa 80 metri, si riversano nella vallata sottostante! Vengono investiti dall’onda nefasta: Bueggio, alcune centrali idroelettriche, il santuario della Madonnina di Colere, il paese del Dezzo, soprattutto la parte destra, frazione di Colere, che viene quasi completamente distrutta. La parte sinistra, frazione di Azzone, è parzialmente protetta da un grosso masso che salva la zona della chiesa. Dopo aver provocato dolore, morte ed ingenti danni ad abitazioni ed ambiente in Val di Scalve la fiumana, attraverso la via Mala, giunge in Valle Camonica, sfiora Angolo, inonda Mazzunno e poi Corna, frazione di Darfo. Vengono allagate e gravemente danneggiate le case e le industrie di Corna ed anche la zona circostante; poi l’acqua, insieme a fango, poveri resti umani, carcasse di animali, alberi e detriti di ogni genere, confluisce nell’Oglio per terminare la sua corsa nel lago d’Iseo.

14 dicembre 1923

Percorso della fiumana

TESTIMONIANZE

A Bueggio, Fermo Bianchi ricorda quel tragico mattino: ”…allora siamo saliti sui solai per salvarci, entrava la melma perfino lì, c’era tanta melma così! Abbiamo lavorato giorni e giorni per pulire tutta quella melma… perché era melma, non era acqua…”. Al Dezzo la situazione è ancora più drammatica: “Non avevo ancora messo i piedi sul tetto che la casa sprofondò trascinandomi nella corrente senza saper nuotare. Fortunatamente proprio in quell’istante accanto a me passò un grosso albero, lo afferrai e riuscii a stare a galla. A quell’albero devo la vita… Degli uomini mi gettarono una corda, ma mi scappò di mano, al secondo tentativo l’afferrai e la legai ad un polso”, ricorda un testimone. Il nipote della proprietaria dell’albergo Franceschetti, Sandro, appena uscito di casa vede la massa d’acqua avanzare e la casa con all’interno i genitori e la sorella scomparire; ricorda: “Credetti di sognare… mi parve di vedere il tetto della casa aprirsi e stendersi galleggiando sulla corrente vorticosa, poi più nulla…”. A Corna di Darfo, dove la forza della fiumana è meno violenta perché sbocca in una zona pianeggiante, al contrario dell’angusta vallata al Dezzo, si registrano gesti eroici che salvano la vita a non poche persone. Le scene ricordate dai testimoni, allora bambini o ragazzini, sono più o meno le stesse: gente disperata che piange e vede scomparire nel nulla le case, le botteghe artigiane, le ferriere con la gente al loro interno. Concetta Giarelli dapprima corre in strada cercando di scappare insieme alla suocera poi, richiamata dal cognato si rifugia sul solaio; mentre controllano la situazione dalle finestre crolla metà della casa, poco dopo, in seguito ad un urto violento, anche il resto dell’edificio e finiscono tutti nell’acqua alta. Rammenta la donna: “Fui colpita da un chiodo infisso in un’asse che mi ferì alla testa abbastanza gravemente, poi mi aggrappai al braccio di mio cognato… Per un lungo tratto col braccio sinistro mi avvinghiai ad un tronco… sentii arrivare il treno e pensai di morire. Poi svenni. Mi ritrovarono avvinghiata ad un palo di sostegno della vite non lontano dall’Oglio”. Se in tanti riuscirono a salvarsi non fu così, purtroppo, per tutti coloro che furono coinvolti in questa infausta tragedia.

 

VITTIME E DANNI

Le vittime ufficiali sono 359, il 30% delle quali bambini da poche ore a 10 anni! Una piccolissima vittima del Dezzo ed una di Corna di Darfo sono registrate col solo cognome perché, nate da poche ore, non avevano ancora ricevuto il Battesimo e con esso un nome! È possibile che il numero dei morti sia  superiore, ma non di molto perché le vittime Scalvine e Camune sono note; di altri eventuali qualche parente, sapendoli presenti nella zona colpita, alla notizia della tragedia che fece il giro di mezzo mondo, avrebbe pure chiesto di loro, se fossero scomparsi. Il paese col maggior numero di lutti è il Dezzo dove se ne contano circa 200, nella triste graduatoria segue Corna di Darfo con 104; nel numero totale sono compresi anche coloro che lavoravano nelle centrali spazzate via dall’onda mortale.

I danni materiali sono ingenti a carico di comuni cittadini, attività commerciali, industrie, infrastrutture quali ponti e strade ed ambiente. Numerose le persone che si sono trovate improvvisamente ad aver perso tutto: i loro cari, la casa, il bestiame o i terreni.

Vengono compilate, da parte dei rappresentanti dei danneggiati privati, le denunce dei danni subiti, sia in Val di Scalve sia in Valle Camonica; l’entità dei danni verrà poi accertata dai due periti incaricati. Le industrie presentano le loro richieste diretta- mente al governo che in larga parte le accoglie.

Per aiutare la povera gente colpita vengono creati un Comitato Bergamasco ed uno Bresciano per coordinare la raccolta fondi che totalizza circa 4 milioni di lire. Il Comitato di Milano destina al Dezzo circa 500.000 lire. Per quanto riguarda la Val di Scalve a  Vilminore il Comitato Bergamasco fa capo al parroco, don Bettoni, mentre al Dezzo la coordinatrice è Bice Santi, insegnante nelle locali scuole elementari, figlia di Carlo, segretario comunale ad Azzone e Schilpario e corrispondente di varie te- state giornalistiche.

Per i risarcimenti dei danni vengono stanziati 6 milioni di lire dal Governo, mentre 6 milioni sono versati da Virgilio Viganò a quei danneggiati che non si sono costituiti Parte Civile al processo di Bergamo. Risarcimenti tardivi, insufficienti e non sempre distribuiti equamente.

Bueggio pochi giorni dopo

Dezzo Prima

Dezzo dopo

Corna di Darfo

Ancora Corna

CAUSE DEL CROLLO ED EVENTUALI RESPONSABILITÀ .

Responsabilità attribuibili alla ditta Viganò:

– cambio del progetto in corso d’opera: si inizia una diga “a gravità” per poi impostarvene sopra una ad “archi multipli”, unico caso al mondo e possibile punto debole della grande struttura;

– lavori effettuati senza aspettare le necessarie autorizzazioni;

– avere immesso l’acqua nel bacino prima che il calcestruzzo avesse fatto la necessaria presa. La difesa al processo smentisce presentando grafici ecc. ma…

– manufatto eretto con l’uso di materiali a volte scadenti.

– perdite nel muro della diga.

Responsabilità dell’impresa Vita & C:

– lavori eseguiti in fretta essendo pagata a cottimo: sabbia non lavata  a dovere, calcestruzzo male impastato e non spianato nei piloni. L’impresa non si cura della qualità dei lavori, ma pensa solo alla quantità giornaliera di metri cubi da produrre, così nel muro della diga finisce un po’ di tutto. Non mancano, certo, le testimonianze come quella di Francesco Bendotti: “Tra noi operai si deplorava l’operato dell’impresa Vita, ma per paura di essere licenziati, tacevamo”.

Responsabilità di alcuni assistenti della ditta Viganò:

– invece di controllare che l’impresa appaltatrice lavori in modo corretto, quando Virgilio Viganò è assente, premono gli operai perché costruiscano più muratura possibile. In un caso l’ing. Santangelo redarguisce severamente, davanti agli operai, l’assistente Giudici Sperandio e fa demolire e rifare i lavori fatti male e su roccia non lavata.

Responsabilità dei funzionari del Genio Civile di Bergamo:

– pur gravati da numerosi  impegni, dovevano ispezionare in modo più continuo il cantiere al Gleno.

Responsabilità del famoso geologo bergamasco Torquato Taramelli:

– perizia imperfetta sulle rocce interessate dalla costruzione della diga. Perizia che non rileva, o sottovaluta, il dicco porfirico presente nella gola, visto dopo il crollo da tutti i geologi. Roccia non idonea, se non dopo opportuni trattamenti per contrasta- re erosioni ed infiltrazioni d’acqua; tesi del noto geofisico prof. Emilio Oddone “.. le montagne non dormono, ma muovono e carreggiano…” e dei proff. Mario Felici, Paolo Vinassa de Regny, e Pericle Gamba. Di fatto le rocce sedimentarie hanno resistito mentre la roccia eruttiva porfirica è franata.

Le rocce nella gola. Anno 2015

Nelle ipotizzabili cause, o concause, del crollo non si può non citare il possibile sabotaggio nella galleria di scarico della diga con l’uso di esplosivo. A sostegno di tale tesi vi è la perizia del col. Ottorino Cugini, Comandante del Genio della 2a Armata di Milano, incaricato dalla difesa Viganò, il quale durante l’ispezione nella galleria riscontra le mensole della passerella poste all’ingresso, tranciate a filo muro e le ultime piegate verso il fondo. Inoltre il col. Cugini rinviene il volantino della valvola e le tavole sbriciolate della passerella in fondo, sopra le macerie. (Qualche tempo dopo le mensole vengono ritrovate piegate verso l’esterno ed il volantino lungo i salti del Povo!)

Anche il Giudice Istruttore del Tribunale di Bergamo, Cav. Pace, richiede una perizia a due noti esperti, il dr. Genebaldo Gariboldi ed il gen. Aldo Monteguti ponendo loro 5 specifiche domande, la prima delle quali è: Dicano i periti, fatti gli accertamenti e le constatazioni sui resti della diga e particolarmente sul canale di scarico della diga stessa, se esistono tracce che inducano a concludere che uno scoppio in materia esplosiva vi sia stato. In caso affermativo vogliano i periti dire per quanto sia loro possibile alla stregua delle tracce constatate, di quale intensità e potenzialità lo scoppio stesso sia stato”. Ecco la risposta nella relazione dei periti balistici: “Gli accertamenti e le constatazioni sui resti della diga e particolarmente sul canale di scarico della diga stessa hanno rivelato tracce che non escludono, ma anzi possono indurre a concludere che uno scoppio di materia esplosiva siavi stato. Le stesse tracce consentono di affermare che il suddetto scoppio di materia esplosiva non ebbe la elevata intensità e potenzialità richiesta per determinare direttamente il crollo della diga: fu certamente molto meno efficace; però lo si giudica non inferiore alla esplosione di una carica di dinamite del N°1 del peso di kg. 50 senza intasamento ed all’aria libera”.

Entrambe le perizie, quindi, concordano sulla eventualità di una esplosione con l’uso della dinamite che, data la quantità impiegata non aveva certamente lo scopo, né la potenza, di far crollare un muro profondo oltre 30 metri, ma insieme alla serie di concause sopra elencate ne sarebbe stata la tragica conseguenza.

Ricordiamo anche che pochissimi giorni prima del crollo sono stati trafugati dal cantiere del Gleno 75 kg. di candelotti di dinamite.

Ecco, infine, il parere sulle possibili cause del crollo dei periti giudiziari Proff. Ingg. Gaetano Ganassini e Arturo Danusso, incaricati di una valutazione, i quali sostengono vi sia stato “un brusco cedimento di fondazione” e concludono nella loro relazione finale che: “la causa occasionale ed immediata del crollo è indeterminata in assenza di elementi accertati”.

A questo punto mi chiedo come mai è crollata solo la parte costruita sopra la gola mentre il resto è tutt’ora al suo posto! Eppure i metodi di lavoro ed i materiali usati, giudicati dalla gente deficitari, erano gli stessi…

VICENDA GIUDIZIARIA

30 dicembre 1923. Il Procuratore del Re, Cav. Giusti, incrimina Viganò Virgilio, Giuseppina, Paolo, Carlo, Giulio, Antonio e le eredi di Michelangelo, Franca e Carmelita; il progettiste della diga ing. GB Santangelo e Vita Luigi, titolare dell’impresa costruttrice: “…per aver costruito un serbatoio artificiale con relativa diga, procedendo nella costruzione con negligenza ed imperizia… non avendo fatto precedere alla costruzione stessa opportuni assaggi sulla natura del terreno…”

30 marzo 1925. Dopo vari rinvii si apre il processo presso la Corte di Assise di Bergamo contro i suddetti imputati.

4 luglio 1927. Viene emessa la sentenza. Il Tribunale di Bergamo condanna Virgilio Viganò e l’ing. G.B. Santangelo ciascuno a 3 anni e 4 mesi di detenzione, a L. 7.500 di multa ed al pagamento delle spese processuali. Assolve gli altri imputati Viganò e il Vita; condona ai due condannati 2 anni di detenzione e la pena pecuniaria. Lo stesso giorno nel quale viene emanata una sentenza che scontenta tutti, presentano ricorso in Appello: Virgilio Viganò, l’ing. Santangelo, il Procuratore del Re ed i rappresentanti delle Parti Civili.

21 giugno 1928. Muore per un’emorragia cerebrale Virgilio Viganò. Ha 46 anni.

19 novembre 1928. Si apre il processo presso la Corte di Appello di Milano.

27 novembre 1928. Viene emessa la sentenza che assolve Virgilio Viganò per estinzione dell’azione penale in seguito al suo decesso e l’ing. Giovan Battista Santangelo per insufficienza di prove.

Sentenza di assoluzione processo di Appello

Termina qui la “Storia del Disastro del Gleno”. Ho la certezza di avere riportato con obiettività, dopo ricerche approfondite, consultazioni di numerosi documenti, foto- grafie ecc. la dolorosissima vicenda che ha colpito la nostra gente un secolo fa. Mi auguro anche di avere contribuito a fare un po’ di chiarezza sul drammatico evento. Chiudo con un doveroso pensiero alle numerose incolpevoli vittime, con la speranza che simili tragedie non si ripetano mai più!

 

SERGIO PIFFARI.


     Attività a cura della Commissione Centenario del Gleno