Calchere

Le calchere erano piccole “fabbriche”, una sorta di forni che producevano calce in quantità limitate. La calce si ottiene “cuocendo” pietre calcaree a temperature che si aggirano attorno agli 800 °C.

Fin dall’antichità, la calce era principalmente utilizzata nell’edilizia, come legante delle strutture murarie, per intonacare e stuccare le pareti, anche grazie alla sua azione battericida.
Tuttavia, i campi di impiego della calce sono numerosissimi, anche al giorno d’oggi.

Nella maggior parte dei casi, una calchera era costruita per soddisfare le necessità di una singola fabbrica, famiglia o contrada. Molto spesso, veniva abbandonata (o smontata) al termine dei lavori.
Non era un metodo di produzione molto diffuso – anche perché le grandi opere edili erano limitate – ma rientrava all’interno del sistema dell’economia di sussistenza della Valle.
Infatti, per le comunità di montagna più isolate, importare materiali comportava costi di trasporto onerosi e tempistiche talvolta molto lunghe. Quindi la conformazione del territorio determinava la necessità di essere il più possibile autosufficienti, perlomeno per quanti riguarda la produzione dei beni primari.

Anche se la produzione di calce non era un’attività limitata alla sola Val di Scalve, è interessante come ogni zona seguisse delle architetture specifiche per la costruzione delle calchere.

In tutta la Val di Scalve sopravvivono esempi di calchere, con diversi gradi di conservazione. L’esemplare meglio conservato (e di recente ristrutturazione), si trova in Località Pian di Vione a Colere.
Un altro esemplare di buona conservazione si trova all’ingresso della Riserva Naturale dei Boschi del Giovetto, nella zona del torrente Giogna.